PERIODO DILATANTE
Le contrazioni diventano sempre più frequenti (ogni 4-5 minuti), di intensità e durata crescenti (40 secondi-1 minuto) fino a diventare dolorose.
Il dolore in questa fase spesso si irradia posteriormente in regione lombo-sacrale.
I risultati di questa attività contrattile sono:
Ø Assottigliamento del collo uterino fino a che non diventa appianato
Ø Dilatazione del collo dell’utero fino a raggiungere i 10 cm (dilatazione completa)
Ø Progressione del feto nel canale del parto
La dilatazione del collo uterino procede ad una velocità di 1 cm/h nelle nullipare e 2-2,5 cm/h nelle pluripare.
Come avviene l’assistenza del personale nel periodo dilatante?
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Il benessere fetale viene sorvegliato mediante la cardiotocografia intermittente o continua, a seconda dei fattori di rischio presenti e della fase del travaglio.
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Le esplorazioni vaginali vengono effettuate all’incirca ogni 2 ore ed ogni visita viene riportata sul partogramma.
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Il partogramma è un grafico in cui la dilatazione cervicale espressa in cm e la progressione della testa fetale vengono messe in relazione al tempo in ore.
Viene inoltre annotato:
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se il sacco amniotico è integro o no, in quest’ultimo caso se si è rotto spontaneamente o mediante intervento medico e le caratteristiche del liquido amniotico
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se è stata somministrata ossitocina (ormone che provoca le contrazioni uterine)
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viene data una breve valutazione del tracciato cardiotocografico.
Il partogramma è un importante strumento di comunicazione tra gli operatori che ha lo scopo di valutare se il travaglio procede correttamente.
Se le contrazioni dell’utero non dovessero essere sufficientemente valide e al partogramma risulti un rallentamento o un arresto della progressione del travaglio, è possibile praticare l’amnioressi.
L’amnioressi consiste nella rottura artificiale del sacco amniotico tramite uno strumento simile ad un uncinetto. Si pratica in travaglio, quando è già presente una certa dilatazione del collo uterino. Non essendoci terminazioni nervose nelle membrane, la loro rottura non provoca dolore. Questa procedura facilita la discesa della testa fetale che a sua volta stimola il rilascio di ossitocina, accelerando così il parto.
Ø Quando si rompono le membrane è importante controllare il liquido amniotico che normalmente è incolore. Se il liquido si presenta “ tinto” ovvero di colore verdognolo ed eventualmente di consistenza aumentata, può essere indice di uno stato di stress fetale.
Ø Una volta che il sacco è rotto, in presenza di un rallentamento del travaglio, si può procedere ad un infusione endovenosa di ossitocina con lo scopo di rendere più efficaci le contrazioni uterine.
Come comportarsi durante il travaglio?
· E’ possibile mangiare qualcosa di leggero ma soprattutto nelle fasi avanzate può capitare di avere un senso di nausea che non permette di mangiare. Per lo stesso motivo è meglio bere solo acqua e a piccoli sorsi.
· E’ importante svuotare spesso la vescica in prossimità del parto per evitare traumi e per aumentare lo spazio a disposizione per il passaggio del feto.
· E’ possibile muoversi liberamente (in un travaglio fisiologico).
Quali posizioni è possibile assumere durante il travaglio?
Secondo le raccomandazioni della WHO (World Health Organization) del 1985 non è raccomandabile che la donna sia nella posizione litotomica (quella tenuta sul lettino ginecologico) durante il travaglio ed il parto. Le donne dovrebbero essere incoraggiate a camminare e a decidere liberamente la posizione da adottare per il parto.
Possibili posizioni sono:
Ø In piedi
Ø Seduta
Ø A carponi
Ø Accovacciata
La posizione eretta, ad esempio, sembra ridurre la durata del travaglio ed il ricorso a farmaci per accelerarlo.
La posizione accovacciata aumenta i diametri del bacino materno.
Un caso particolare è costituito dal parto in acqua: è apprezzato dalle donne perché riduce il dolore e la richiesta di analgesia. Tuttavia non vi sono ancora studi che evidenzino vantaggi significativi per la mamma o il bambino e può risultare difficoltoso gestire situazioni di emergenza.
Che cos’è la partoanalgesia?
L’analegesia epidurale o peridurale consiste nell’iniezione di un farmaco anestetico nello spazio epidurale con lo scopo di controllare in modo efficace il dolore delle contrazioni. Il parto avviene comunque per via naturale.
L’anestesista posiziona un catetere sottile tra la II e la III vertebra lombare. Attraverso questa via si somministrano dei farmaci a dosi molto basse in modo da avere un effetto antalgico senza interferire con il movimento degli arti inferiori.
L’analgesia elimina la componente dolorosa della contrazione uterina che però continua ad essere percepita, rimanendo inalterato lo stimolo a spingere.
Il cateterino viene lasciato in sede in modo da ripetere, ove fosse necessario, la somministrazione dei farmaci analgesici.
Richiedere l’analgesia è una scelta personale della paziente che però deve essere avvallata dal ginecologo. Infatti la paziente deve essere in una fase attiva del travaglio (almeno 3 cm di dilatazione) e non devono esserci controindicazioni cliniche. E’ necessaria una visita anestesiologica ambulatoriale a 34 settimane circa dove l’anestesista valuta l’idoneità della paziente all’analgesia in base ad anamnesi, esame obiettivo ed alla valutazione degli esami della coagulazione.
Esistono infatti delle controindicazioni come la presenza di malattie della coagulazione, l’utilizzo di farmaci anticoagulanti, una grave scoliosi o altre patologie della colonna vertebrale.
Come ogni atto medico l’analgesia può provocare degli effetti indesiderati come:
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Prurito
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Riduzione della pressione arteriosa
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Aumento della temperatura corporea
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Cefalea
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Difficoltà a urinare
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Ematoma spinale. Quest’ ultimo si verifica molto raramente (1:100.000) ma necessita di un intervento chirurgico per essere svuotato.
L’analgesia non aumenta le probabilità di partorire tramite taglio cesareo ma può aumentare la lunghezza del travaglio, l’utilizzo di ossitocina.
Nel caso si debba ricorrere ad un taglio cesareo si può utilizzare la stessa via di somministrazione dei farmaci analgesici aumentando le dosi.
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